Il 23 maggio, in occasione dell’anniversario della Strage di Capaci, si celebra la Giornata della Legalità. Una celebrazione che risulta essere un messaggio per le nuove generazioni, ma anche un omaggio alle vittime della mafia.
Ogni giorno, anche se può sembrare uguale ad un altro, può avere un valore differente nella memoria delle persone. Per molti italiani, il 23 maggio è una data difficile da dimenticare; una data che ha segnato profondamente la storia del nostro Paese. Il 23 maggio 1992 venne ucciso a Capaci il magistrato antimafia Giovanni Falcone, insieme a sua moglie, Francesca Morvillo, anche lei magistrato e agli agenti di scorta. Gli attentatori decisero di far esplodere il tratto dell’autostrada A29 in cui avrebbe transitato il noto giudice, scortato dai suoi agenti. Un piano programmato nei minimi dettagli, al solo scopo di eliminare una delle personalità più influenti nel mondo dell’antimafia. Giovanni Falcone, infatti, non era solo un giudice integerrimo, ma prima di tutto un uomo che lottava per il bene della sua terra. La lotta antimafia non è fatta solo di leggi, arresti e condanne; ma si attua anche attraverso le idee, le mobilitazioni e le ribellioni ad un sistema corrotto.
Le Stragi del 1992 nella memoria collettiva.
Falcone aveva scelto la strada della magistratura per dare una nuova speranza ai tanti siciliani onesti, i quali meritavano un Paese libero della mafia e dalla corruzione. Nel corso della sua lunga carriera si era distinto per l’integrità e i valori morali, mostrando anche valori umani che lo hanno reso immemore nell’opinione pubblica del Paese.
La Strage di Capaci segna il punto più alto dell’azione violenta della mafia siciliana, alla quale successe solo pochi mesi dopo la Strage di Via d’Amelio, in cui persero la vita Paolo Borsellino e i suoi agenti di scorta. In appena sessanta giorni i nomi di spicco della criminalità organizzata ucciso due giudici onesti e temerari che, in nome della legalità, non mai si sarebbero fermati se non dinanzi alla morte. Le Stragi del 1992 generarono un senso di sdegno nella società, tanto da spingere la popolazione a scendere in piazza e rivendicare il diritto ad una vita onesta e libera dalla corruzione e dalla violenza. Il sogno di distruggere Cosa Nostra non è morto con Falcone e Borsellino, ma vive attraverso l’impegno e l’attivismo di tante persone.
L’impegno degli uomini che hanno combattuto contro la criminalità.
L’impegno antimafia non si limita a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, tanti i nomi di coloro che si sono impegnati per dire no alla criminalità organizzata. In ogni angolo del Paese, in regioni afflitte dalla piaga della mafia, non sono mancate personalità pure e coraggiose che hanno sfidato la malavita, sperando di poter garantire la giustizia. Insegnanti, commercianti, giornalisti, magistrati, poliziotti, sacerdoti che, attraverso il loro operato, hanno diffuso un messaggio di legalità.
Va ricordato Peppino Impastato, giornalista ed attivista, ucciso dalla mafia a Cinisi il 9 maggio 1978. Peppino era figlio di un boss locale, e proprio per questo motivo conosceva bene le logiche mafiose, tanto da volerne prendere le distanze. Amava far sentire a gran voce il suo diniego verso un sistema marcio, ed ha pagato con la vita il coraggio di opporsi ad una realtà che non gli apparteneva.
Don Peppe Diana era un sacerdote di Casal di Principe diverso dal comune, e questo lo si evinceva già dalle sue prediche piene di enfasi ed entusiasmo. Don Diana aveva il sogno di vivere in una città libera dall’egemonia maligna dei criminali casalesi. I boss locali lo uccisero il 19 marzo 1994 proprio nella sua sacrestia, mentre si preparava a celebrare la messa.
Giancarlo Siani voleva fare il giornalista, uno di quelli disposti a raccontare la verità, anche quella più brutta. Corrispondente del quotidiano Il Mattino, iniziò ad indagare sulla realtà criminale di Torre Annunziata, nella provincia di Napoli. Firmando alcuni articoli contro esponenti di spicco della camorra torrese, firma anche la sua condanna a morte. Siani venne assassinato la sera del 23 settembre 1986, in prossimità della sua abitazione situata al Vomero, quartiere di Napoli.