Uscito il nuovo libro di Barbara Giangravè: In clinica psichiatrica c’è il glicine fiorito
Incontriamo l’autrice del libro “In clinica psichiatrica c’è il glicine fiorito”, Barbara Giangravé.
Barbara è nata a Palermo nel 1982, laureata in Scienze della Comunicazione, ed oggi è una nota giornalista professionista, e scrittrice. Ha ricevuto nel 2011 il riconoscimento di Inspiring Woman of Italy, per gli anni del suo attivismo antimafia.
Con il suo romanzo d’esordio “Inerti” si è aggiudicata l’edizione 2017 del premio Augusta.
Giangravè si è sempre occupata, anche in cronaca, di temi forti, di argomenti spinosi e anche in questo ultimo suo lavoro affronta una trama complicata.
Nel 1978 la “Legge Basaglia” chiude i manicomi in Italia. Inizia una nuova fase, in cui chi è affetto da disturbi mentali non viene più rinchiuso in tristi strutture di contenimento, ma riabilitato e reinserito nella società. Barbara si interroga su cosa, da quel momento a oggi, si è realmente fatto? Cosa è cambiato?
È un libro che raccoglie la testimonianza della scrittrice che entra di sua spontanea nelle nuove cliniche psichiatriche per provare a sconfiggere quel male invisibile che è la depressione”; una malattia troppo spesso sottovalutata.
Un racconto che è un insieme di fatti, riflessioni e ricordi. Sarà sufficiente a risvegliare la coscienza sociale?
Dottoressa, come nasce l’idea di questo libro? Cosa rappresenta il glicine fiorito?
L’idea di questo mio secondo libro nasce dalla volontà di combattere lo stigma che vige nella nostra società rispetto alla salute mentale. Il glicine fiorito, in clinica psichiatrica, rappresenta una pianta dai frutti pericolosi per chi soffre di depressione. Ma anche, in un certo senso, un simbolo di riscatto. Perché ho già provato più di una volta, sulla mia pelle, che pure dalle esperienze peggiori può nascere qualcosa di buono. Cantava De Andrè in “Via del campo”: “Dai diamanti non nasce niente. Dal letame nascono i fior”.
Come si riconosce la depressione e come si affronta?
Ognuno di noi ha una percezione diversa della malattia. La depressione stessa ha in sé uno spettro troppo ampio di tipologie per poterla definire. In ogni caso, per affrontarla è necessaria la psicoterapia e, poi, su indicazione dello psicoterapeuta, si valuta se sia il caso di farsi seguire anche da uno psichiatra. L’unico che possa prescrivere i medicinali adatti.
È possibile uscire dalla depressione?
È un processo molto doloroso e faticoso, ma se ne può uscire. Oppure si può convivere con la malattia, ma ottenendo comunque una qualità di vita accettabile.
Le cliniche psichiatriche pubbliche italiane oggi di cosa si occupano? Riescono al loro scopo od occorre pensare a nuove strutture?
Le cliniche psichiatriche convenzionate con il sistema sanitario nazionale hanno lo scopo di trovare prima possibile la terapia più adatta per il paziente. Procedimento che è più lungo fare in casa, anche se seguiti da uno psicoterapeuta e da uno psichiatra. Ma, a mio modesto parere, le cliniche in Italia dovrebbero sempre sottoporre il paziente a sedute di psicoterapia. Perché la psicoterapia non può mai essere scissa dalla psichiatria.
Che realtà esistono in questo campo invece nel resto del mondo?
Onestamente, non so quali realtà sanitarie e sociali esistano al di fuori dell’Italia. Mi auguro solo che siano migliori delle nostre. Me lo auguro per tutte le persone che soffrono di disturbi mentali. Sinceramente.
Nel 2011 è stata insignita del titolo Inspiring Woman of Italy per il suo attivismo antimafia. Come è stata questa esperienza?
È stata incredibile perché non me l’aspettavo affatto. Anzi, quando mi hanno contattata per dirmi del Premio e di dovermi recare a Roma per ritirarlo, pensavo che si trattasse di uno scherzo.