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Oppenheimer, il capolavoro di Christopher Nolan: un’occasione per ripensare a come la tecnologia impatta sulle nostre vite

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Immagine trattata da https://www.ciakclub.it/

Nelle ultime settimane, in singolare ritardo rispetto al resto del mondo, le sale cinematografiche di tutta Italia hanno riprodotto sui propri schermi l’ultimo film del regista britannico Christopher Nolan: Oppenheimer.

La storia si ispira al libro “Robert Oppenheimer, il padre della bomba atomica. Il trionfo e la tragedia di uno scienziato”, biografia scritta a due mani da Kai Bird e Martin J. Sherwin, nel corso di 25 lunghi anni. Un lavoro faticoso ma ampiamente ricompensato, considerato il grande successo riscosso e l’ambitissimo Premio Pulitzer che i due scrittori vinsero nel 2006.

Con un cast d’eccezione, che annovera tra le proprie fila attori del calibro di Cillian Murphy, Robert Downey Jr, Matt Demon ed Emily Blunt, il film racconta la vita del fisico teorico statunitense, ripercorrendone gli anni di studio, la direzione del Progetto Manhattan e la realizzazione della bomba atomica, le conseguenze che tale evento scatenò sulla coscienza dell’uomo e il processo che egli subì anni dopo la seconda guerra mondiale.

Oppenheimer, un film girato in soli 57 giorni con un budget di 100 milioni di dollari, è già stato battezzato dalla critica come il miglior capolavoro nella filmografia di Nolan, ma siamo sicuri che sia stato davvero apprezzato da tutti coloro che negli ultimi giorni hanno assediato i cinema italiani?

Davanti ai commenti entusiastici sparsi ovunque sui social, da Instagram a X (ex Twitter, per i nostalgici come me), potrebbe sembrare una domanda superflua. Eppure, dando un’occhiata in giro durante la proiezione, l’elevato numero di persone con il volto illuminato dalla luce blu dello smartphone, anziché da quella dello schermo del cinema, potrebbe indurre a riconsiderare l’utilità del quesito.

Com’è possibile che davanti alla magistrale interpretazione di Cillian Murphy nei panni di Oppenheimer, a una colonna sonora incredibilmente riuscita e a una storia dalle mille implicazioni morali, storiche e politiche, molti spettatori appaiano distratti, addirittura annoiati?

La risposta, neanche a farlo a posta, sembra fornirla la scienza!

Soglia dell’attenzione: quanto influiscono i social network sulla nostra capacità di concentrazione

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Immagine trattata da https://www.centodieci.it/empowerment/

Un film della durata di 3 ore, caratterizzato per lo più da dialoghi continui che richiedono allo spettatore un elevato e costante livello di attenzione, rappresenta una bella sfida per un periodo storico in cui la nostra capacità di concentrazione appare fortemente indebolita dall’incessante sollecitazione social-digitale a cui siamo esposti.  

Gli indiscussi vantaggi che il progresso tecnologico ha portato e continua fortunatamente a portare con sé, migliorando il nostro modo di vivere e le nostre possibilità di crescita e sviluppo, infatti, non escludono che vi siano altrettante conseguenze dannose legate al fenomeno dell’iper-connessione.

Se da una parte la tecnologia agevola molte delle nostre attività quotidiane, contribuendo ad aumentare la produttività e ad ampliare le possibili fonti di informazione, garantendoci una varietà e ricchezza di strumenti impensabile fino al secolo scorso, dall’altra ci proietta in un mondo saturo di stimoli, dove un bombardamento costante di immagini, video, news e informazioni è capace di innescare disturbi psicologici e cognitivi finora sconosciuti.

I nostri devices, infatti, lungi ormai dall’essere semplici strumenti di comunicazione, sono diventati parte integrante delle nostre vite, oggetti irrinunciabili che ci portiamo appresso ogni giorno e da cui sembra sempre più impossibile distaccarsi.

Se ne stanno lì, nelle nostre tasche o sulle nostre scrivanie, a ricordarci che c’è un mondo virtuale che corre alla velocità della luce e che reclama la nostra attenzione.

Questo genera in noi un bisogno quasi ossessivo di monitorare cosa accade in rete, nei nostri account social, nelle chat di gruppo. Fenomeni come il vamping, ovvero l’abitudine di stare svegli di notte per controllare ciò che accade sul web, o la nomofobia, cioè il bisogno di controllare compulsivamente le notifiche ricevute per paura di rimanere disconnessi troppo a lungo, difatti, sono sempre più frequenti.

Basti pensare che, in media, un individuo ricorre al proprio smartphone più di 2500 volte al giorno, spinto dal desiderio di toccarlo, consultarlo, controllare le ultime novità sul web, aggiornare i propri profili e verificare se si è ricevuto qualche nuovo messaggio, qualche nuova mail, una nuova notifica o like,.

Giorno dopo giorno, siamo sottoposti a una serie elevatissima di input digitali che ci porta inevitabilmente a perdere il focus e a distrarci con maggior facilità rispetto al passato, prestando attenzione a ciò che ci passa sotto gli occhi solo per un brevissimo lasso di tempo.

A testimoniarlo non solo la comune esperienza, ma anche gli allarmanti dati emersi a seguito di alcune recenti indagini in materia. Sembrerebbe, infatti, che gli utenti del web siano in grado di mantenere la concentrazione per soli 8 secondi.

Le nostre capacità cognitive, quindi, paiono essere fortemente condizionate dalle dinamiche del mondo virtuale, portando la nostra soglia di attenzione ai minimi storici.

Si tratta di una realtà oggettiva facilmente verificabile.

Provate a pensare a una normale serata trascorsa sul vostro divano, guardando la tv. Quante volte avete la tentazione di consultare il vostro cellulare, anche se è trascorso solo qualche minuto da quando lo avete controllato l’ultima volta? Da dove arriva quell’inspiegabile tentazione di fare zapping per ore, senza soffermarsi realmente su alcun programma televisivo?

Se, da un lato, tutto ciò aumenta incredibilmente le nostre abilità multitasking rispetto all’uomo del passato, dall’altro ci rende indubbiamente più superficiali.

Ecco perché prestare attenzione in modo continuativo e prolungato a qualcosa, come ad esempio l’impegnativo capolavoro di Christopher Nolan, ci mette spesso così in difficolta: non siamo più abituati a prestazioni mnemonico-cognitive di un certo tenore, perché la struttura del nostro cervello sta mano a mano trasformandosi per adeguarsi alla realtà in cui viviamo e sviluppare nuove capacità e potenzialità che ci consentano di gestire al meglio la multimedialità in cui siamo immersi.

Ma non siamo soltanto più distratti, siamo anche meno propensi a metabolizzare nozioni e concetti complessi! Proprio a causa dell’ormai accertata difficoltà di catturare l’attenzione dell’utente in mezzo a un panorama vastissimo di immagini e video, infatti, i maggiori brand e le più grandi aziende sono sempre più consapevoli di dover ricorrere a pubblicità semplici, immediate, capaci di colpire velocemente l’immaginario e l’emotività del consumatore, per assicurarsi di far breccia sulla sensibilità commerciale del proprio target di mercato.

La maggior parte dei contenuti a cui accediamo quotidianamente non richiedono particolari sforzi intellettivi, né impongono un lavoro di analisi e approfondimento.

Le nostre capacità, in questo modo, subiscono via via un drastico indebolimento, portandoci ad essere sempre più pigri, meno razionali e più emotivi.

In poche parole, questa moderna modalità di comunicazione sollecita con maggior frequenza il nostro sistema di pensiero più emozionale, intuitivo, impulsivo, a discapito di quello più razionale, strutturato e analitico, riprendendo la teoria tanto cara allo psicologo Daniel Kahneman, che nel saggio “Pensieri lenti e veloci” spiega l’esistenza e il funzionamento di due sistemi di lavoro all’interno della nostra mente.

Insomma, in un’epoca in cui tutto viaggia in una rete sempre più rapida e fitta di connessioni, dedicare 3 ore del proprio tempo alla visione di un film impegnativo, articolato su piani temporali differenti e ricco di spunti di riflessione, può risultare tutt’altro che banale.

Ma non disperiamo! Come abbiamo visto, si tratta di meccanismi comuni, dovuti al particolare contesto in cui viviamo, che incidono nella quotidianità di tutti noi…esserne consapevoli è il primo passo per arginarne le conseguenze e allenarci a utilizzare con maggior coscienza i nostri dispositivi tecnologici.

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