È Bitcoin la criptovaluta più inquinante dell’anno appena chiuso
Courtesy QuoteInspector.com
Che Bitcoin sia la criptovaluta più inquinante in assoluto è cosa ormai risaputa.
Il suo primato si è confermato anche nel corso dell’anno che si è appena chiuso, come testimoniato da un rapporto di Forexsuggest.com, una piattaforma con sede in Lussemburgo.
A destare sensazione è però la tonnellata di CO2 che sarebbe stata prodotta da ogni transazione che ha visto interessata la creazione attribuita all’ormai mitico Satoshi Nakamoto. Mentre ammonta a 86,3 milioni il numero di tonnellate di anidride carbonica collegate alla blockchain di BTC, nel corso del 2022. Per riuscire a rimuoverle dall’atmosfera sarebbe necessario piantare 431,6 milioni di alberi.
Con cifre di questo genere si può comprendere perché il blocco dei Paesi nordici guidato dalla Svezia stia premendo sull’Unione Europea per la messa al bando definitiva del meccanismo Proof-of-Work (PoW) su cui si fonda la rete Bitcoin.
I danni ambientali di Bitcoin sono sempre molto ampi
Se nel 2021 il quantitativo di inquinamento prodotto da Bitcoin aveva osservato una flessione, nel corso dell’ultimo anno è purtroppo tornato a crescere. Tutto ciò nonostante il crescente numero di miner che si stanno convertendo alle fonti di energia sostenibili.
Il dato reso noto da Forexsuggest.com rischia di far tornare l’icona crypto al centro delle polemiche, nonostante i tentativi dei suoi sostenitori di negare gli addebiti. Il Bitcoin Mining Council, organismo promosso da Elon Musk e altri per cercare di rendere più sostenibile la rete, non è ancora riuscito a produrre risultati concreti e l’orologio continua a correre, con BTC sempre più nel mirino degli ambientalisti.
Nel corso della discussione sul Markets in Crypto Assets (MiCA), il nuovo regolamento che l’Unione Europea ha varato per regolamentare gli asset virtuali all’interno dell’eurozona, la Svezia e gli altri Paesi nordici hanno più volte cercato di imporre il bando all’algoritmo di consenso PoW, senza per ora riuscirci.
A gioco lungo, però, le richieste in tal senso potrebbero far breccia presso altri Paesi e in tal caso il futuro di Bitcoin, bandito in pratica dall’UE, potrebbe farsi molto incerto.
Ethereum è passato al Proof-of-Stake per sfuggire alla tagliola: può farlo anche il Bitcoin?
Per sfuggire alla tagliola rappresentata dall’eccessivo consumo, il grande rivale di Bitcoin, Ethereum, ha deciso nel corso del 2022 di passare ad un altro meccanismo di consenso, il Proof-of-Stake, molto meno inquinante, oltre che più conveniente in termini di costo delle transazioni.
Una mossa giudicata estremamente saggia da molti analisti e la quale ha praticamente sottratto la creazione di Vitalik Buterin dalla polemica sugli effetti nefasti a livello ambientale delle criptovalute. Tanto da spingere alcuni osservatori a chiedersi se ciò sia possibile anche per BTC.
Sono però i puristi del Bitcoin a rifiutare decisamente questa prospettiva. Il motivo è da ricercare nel fatto che il meccanismo PoW è molto superiore dal punto di vista della sicurezza rispetto a quelli concorrenti, o almeno è ritenuto tale.
Inoltre, i sostenitori di BTC affermano che la polemica contro la regina delle criptovalute è assolutamente strumentale. I suoi consumi saranno anche elevati, ma molto meno rispetto ad esempio a quelli necessari per il sistema bancario o l’oro.
Un rapporto di Galaxy Digital risalente al 2021, ad esempio, afferma che annualmente Bitcoin consuma 113 TWh, una cifra inferiore sia al settore bancario (263 TWh) che all’industria dell’oro (240 TWh). Eppure nessuno si sogna di mettere in discussione questi due settori, come invece accade per BTC.
La discussione è destinata a riprendere nel corso dei prossimi mesi e secondo gli osservatori più avveduti potrebbe essere sgonfiata soltanto dal passaggio di tutti i minatori attualmente dediti all’estrazione dei blocchi alle fonti rinnovabili. Ove ciò non accadesse, la pressione della Svezia sull’Unione Europea potrebbe infine sfociare nel bando al Proof-of-Work e allora sarebbero veramente guai seri per il Bitcoin.