Upcycling. La moda del futuro

Nicole McLaughlin special project
Upcycling. Ovvero riuso creativo. Una parola che racchiude un concetto preciso. Andare oltre le manie di shopping compulsivo fino ad arrivare in un universo rivoluzionario sostenibile e consapevole.
I decenni trascorsi ci hanno trasformato in consumatori accaniti di ogni cosa. La tecnologia, superveloce, ha fatto passi da gigante e noi, pur di restare sulla cresta dell’onda e non perderci nulla, abbiamo perso il controllo di noi stessi. Acquisti smodati e inutili. Tuttavia, le nostre case si sono riempite di abiti e oggetti che usiamo poco o nulla. Ed è proprio qui che entra in gioco la voglia di cambiare.
Nel caso dell’abbigliamento, si parte da una una giacca, un pantalone, una t-shirt, ormai “vecchie”, che sul punto di essere gettate via, vengono salvate, e grazie alla fantasia e all’ingegno possono essere trasformate e modificate fino a diventare capi unici. Proprio questo è il concept su cui fonda l’upcycling. La mission? Realizzare prodotti di qualità con materiali già esistenti, evitando sprechi e riducendo pertanto l’impatto ambientale.
Attenzione però a non confondere il termine upcycling con recycling. Nel 1994, Reiner Pilz, l’ingegnere dell’azienda Pilz Gmbh & Co. , per spiegare come mai produceva così tanto, pur avendo materiale originale limitato, affermava in un’intervista:
“Perché devo comprare blocchi di legno riciclato da un fornitore inglese, quando proprio in fondo alla strada un carico di blocchi simili è pronto per essere demolito? È questo il futuro dell’Europa? Il riciclo io lo chiamo down-cycling. Quello che ci serve è l’up-cycling, grazie al quale ai vecchi prodotti viene dato un valore maggiore, e non minore.”
In sintesi, il riciclo tende, grazie alla ricerca tecnologica e scientifica, a riportare in vita un prodotto mantenendo lo stesso scopo, ma sottraendogli valore. Invece l’upcycling può trasformare un oggetto in qualcosa di completamente differente ed inedito, donandogli valore maggiore rispetto al passato.
Le nuove generazioni hanno deciso di rompere quel fil rouge che lega il lusso al nuovo. L’abito usato non è più visto come qualcosa da demonizzare ma un bene prezioso da plasmare e a cui dare nuove forme. Pertanto, nascono brand innovativi che lavorano su questo mood, e marchi già noti, si adattano alle richieste di mercato e lanciano linee dedicate.
Upcycling. Brand e progetti
Tra le creators più in voga degli ultimi tempi spicca il nome di Nicole McLaughlin. La designer newyorkese, più che abiti, realizza veri e propri attacchi d’arte con gli oggetti più assurdi e disparati. Basti pensare ai bermuda realizzati con buste di caramelle o ai gilet-giocattolo con lego e macchinine.

Raeburn Design. Marchio fondato nel 2009 da Christopher Raeburn. Lo stilista inglese ha iniziato la sua avventura nel mondo della moda recuperando paracadute in nylon e scialuppe di salvataggio e trasformandoli in giacche e parka. Capi militari che ri-prendono vita grazie a una meticolosa decostruzione dei materiali e successiva rielaborazione in chiave contemporanea. Direttore creativo di Timberland e attualmente collaboratore. Nel 2020, vince il premio British Fashion Award Environment. Vanta numerose collaborazioni con Timberland, Aesop, Wizard.

Bode. Emily Adams Bode, stilista del brand menswear, utilizza tessuti antichi, trame barocche e trapunte “della nonna” per creare collezioni fresche con un pizzico di nostalgia retrò. Pezzi unici, lavorati a mano. Camicie patchwork e pattern floreali, si alternano a pizzi, frange e applicazioni equestri. Uno stile riconoscibile che ha attirato anche l’attenzione di Harry Styles che ha indossato le creazioni upcycling Bode. Nel 2021, Emily si aggiudica il premio CFDA Award for American Menswear Designer of the Year.

Re-Nylon. Progetto made in Prada che utilizza il nylon, in particolare l’econyl, per realizzare accessori. Ma cos’è l’econyl? Un filo di nylon molto speciale recuperato nei fondali marini che può essere riutilizzato all’infinito. Reti da pesca e scarti vari, puliti e successivamente rigenerati fino a conquistare la purezza primaria, vengono poi ri-trasformati in polimeri per poi diventare zaino, cintura o scarpa. Un’iniziativa importante che riduce del 90% l’impatto sul riscaldamento globale legato appunto alla produzione di nylon alimentata a petrolio.

Quindi? Cosa ci aspettiamo dalla moda del futuro? Sicuramente più consapevolezza. Uno sguardo attento verso il rispetto del pianeta, ma anche tanta originalità , che non guasta mai.
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