Money shot, the Pornhub story. Netflix fa discutere…
Money shot, la docu-inchiesta di Netflix sulla storia di Pornhub. Il mondo del sesso sul web a nudo. E il colosso MIndGeek passa di mano…
Money Shot, la storia di Pornhub su Netflix Photocredit Neflix.com
Tutto quello che (non) avresti voluto sapere sul porno: “Money Shot, the Pornhub story”…
“Money shot, the Pornhub story”: se ancora non avete visto la produzione di Netflix, levatevi dalla testa pruriti, atmosfere bollenti e universi di sesso fantozziano.
Il “money shot” del titolo significa scena madre, scena clou, quella che giustifica la produzione o che costa, praticamente, quanto tutto il film. Ed è una espressione usata, perlopiù, nel cinema hard: quando si chiama il money shot, l’attore sa che è arrivato il momento di dare tutto quello che ha dentro. Letteralmente…
L’affaire Pornhub, Netflix svela i retroscena
Qui si viviseziona il fenomeno Pornhub, nato dall’intuito di quattro studenti canadesi per far soldi usando il web come, una volta, si usavano le riviste rubate al barbiere. In un anonimo palazzone di vetro e cemento, come ogni colosso tech che si rispetti, tra i sobborghi di una gelida Montreal, ha surfato, per anni, nell’oceano del webporno finché non è stato travolto da uno tsunami di proporzioni bibliche che si è portato via tutto, soprattutto chi non sapeva nuotare.
Attenzione, è ancora tutto lì: il sito, i video hot, regolarmente on line, ma…
Nessun controllo, nessuna protezione. E diventa “sfruttamento”
La docu-inchiesta di Netflix, con la regia sapiente di Suzanne Hillinger, squarcia il velo sull’affaire Pornhub in modo veramente equidistante da opinioni e pregiudizi. Fa parlare i sex worker, i performer, le menti pensanti che organizzano e gestiscono la vita dell’azienda, i manager balbettanti e reticenti al momento di prendere posizione nella battaglia contro lo sfruttamento sessuale che, in Pornhub, ha trovato una enorme vetrina.
Ma ha anche mostrato come quella guerra (sacro)santa abbia mietuto vittime solo tra gli “addetti ai lavori” che, non più padroni del proprio business, si sono dovuti reinventare. E, siccome parliamo di sesso, in molti, troppi, hanno dovuto ripercorrere la strada a ritroso, ritornando sui set dei film porno ad ansimare a comando o, peggio ancora, a farsi sfruttare dal pappone di turno.
MindGeek, il colosso canadese con sede in Lussemburgo
MindGeek, proprietaria di Pornhub, You Porn, Red Tube, XTube – e via così per decine e decine di altri mondi della galassia dell’intrattenimento per adulti – è una gigantesca spugna che assorbe miliardi e miliardi di dollari, attingendo ai portafogli di (non sempre) adulti golosi, garantendo bassi costi e un universo parallelo fatto di Barbie e di Ken con l’unico obiettivo di gratificare il cliente. Sede operativa Montreal, ma sede legale in Lussemburgo e, come ogni grande matrioska finanziaria, un florilegio di controllate e derivate piazzate strategicamente nei paradisi fiscali di mezzo pianeta.
Controllati i professionisti, ma per i video amatoriali è il far west
Pornhub era diventata, per i sex worker, un vero e proprio paradiso: postavano i loro video, vendevano sesso virtuale fatto e prodotto (in larghissima parte) da loro stessi e non temevamo che i loro filmati potessero venire “piratati”. Non solo: incassavano direttamente dal cliente incollato al monitor. Perché questo è Pornhub: una gigantesca vetrina di video e contenuti hard. E, per i professionisti, ci sono dati controllati e verificati, anche perché in mezzo ci sono le transazioni finanziarie. Niente soldi sul comodino, ma addebiti con PayPal, MasterCard, Visa, American Express…
E però… C’è, il però! Ed è grosso come una montagna: chi avesse voluto pubblicare un video, senza scopo di lucro apparente, non avrebbe dovuto sottostare ad alcuna verifica. Un indirizzo e-mail era sufficiente.
Libertà di espressione o sfruttamento sessuale?
“E’ la rete, bellezza! E’ la libertà”! No. Non è così: la totale mancanza di controllo ha fatto sì che la piattaforma si riempisse anche di video “rubati”, senza il consenso del protagonista principale, postati per vendetta, stupidità, ricatto, depravazione personale, devianza sociale… Stupri, sesso con minori, tavolta bambini, talvolta estremo e violento ma, soprattutto, non consensuale. E non consensuale, soprattutto, era il ritrovarsi in pasto alla voracità di internet.
Insomma, MindGeek era scrupolosa quando si trattava di sex worker mentre si trasformava nelle tre scimmiette – che non vedono, non sentono, non parlano – quando, invece, era la massa invisibile a bussare alla sua porta.
30 moderatori per supervisionare milioni di video
Solo dopo essere stata costretta a difendersi, MindGeek ha pensato a servirsi di moderatori: 30 poveri cristi costretti a visionare video “anonimi” per 8 ore al giorno. Milioni di video. Così finivano in rete migliaia di filmati che, proprio, non si era riusciti a controllare. E, quando arrivavano le denunce delle vittime – con conseguente richiesta di rimuovere il video dalla piattaforma – gli stessi moderatori avevano a che fare con un arretrato cronico di sei mesi. Ma rimuovere il video non è sufficiente se non si fa lo stesso con i metadati. E questi non venivano toccati. Restava tutto lì, filmato a parte, pronto a ricomparire ad ogni query di ricerca. In più, i video si scaricavano che era una bellezza, così finiva che il filmato rimosso ritornasse in circolazione subito dopo essere stato eliminato. E la giostra ricominciava a girare, secondo l’equazione malata che clik è uguale a soldi.
Lo scandalo dopo un articolo sul New York Times
Dopo il primo grande scandalo, nato dalla pubblicazione di un inchiesta sul New York Times, a firma del premio Pulitzer Nicholas Kristof, il management di MindGeek si è visto costretto a rimuovere oltre 10 milioni di video non autorizzati. Bene no? No. Perché i metadati sono rimasti in giro e, nel frattempo, erano già stati scaricati migliaia e migliaia di volte.
Risultato: le vittime hanno continuato ad essere vittime, i sex worker sono diventati i capri espiatori di un sistema malato e di una campagna di ribellione pubblica che ha portato in vigore leggi restrittive, ma solo per gli operatori. Chi sfruttava internet per le proprie perversioni, a danno di vittime innocenti, si è potuto nascondere ancora meglio nel deep web.
La MindGeek ha perso il sostegno ipocrita di PayPal, di MasterCard e di Visa ma tutto è continuato, con qualche aggiustamento da dare in pasto all’opinione pubblica.
Dopo l’inchiesta Neflix, MindGeek passa di mano: il nuovo patron è Rocco Meliambro
Però le discussioni provocate dall’uscita di Money Shot – prodotta, diffusa e sostenuta da Netflix – ha prodotto un effetto, o forse si tratta di una coincidenza, ma tant’è: dopo l’uscita della docu-inchiesta, la MindGeek è stata venduta – con tutti gli annessi Pornhub, Youporn etc … – alla Ethical Capital Partners, al cui vertice c’è Rocco Meliambro, imprenditore italocanadese re della cannabis.
Nel comunicato stampa successivo all’acquisizione, la ECP ha dichiarato: “MindGeek si impegna a garantire un intrattenimento per adulti di qualità, fatto da e per adulti consenzienti, su piattaforme che definiscono gli standard di fiducia e sicurezza, istituendo misure di conformità che superano quelle di altre piattaforme su Internet”.
L’industria del porno non ne uscirà né schiacciata né ammaccata più di tanto, resiliente com’è; e Pornhub continuerà a cavalcare l’onda del sesso smart. Sperando, però, che abbia imparato a proteggere meglio, anche se costa di più, i propri utenti: quelli che offrono e quelli che comprano.
Perché su un aspetto bisogna essere chiari: il sesso non deve essere, o diventare, socialmente accettabile ma deve essere consensuale, senza se e senza ma, sempre e comunque.