L’inflazione si mangia i soldi degli italiani, ben 20 miliardi di euro sono sfumati nel 2022

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Credits: Peter Linke

Com’è ormai noto ad un gran numero di famiglie, costrette a fare i conti con bilanci domestici sempre più complicati da mantenere in equilibrio, salari e pensioni in Italia sono troppo bassi. Un trend che è iniziato in pratica con l’adozione dell’euro per poi rafforzarsi dalla crisi conseguita allo scoppio della bolla dei mutui Subprime nel 2008.

Ora è anche possibile precisare cosa stia accadendo con l’inflazione che è tornata a mordere, grazie ad una ricerca della Federazione autonoma bancari italiani (FABI). L’indagine in questione, infatti, segnala come nel corso del 2022 il saldo totale dei conti correnti delle famiglie presenti all’interno del Belpaese sia calato di ben 20 miliardi di euro. Un dato assolutamente eloquente e il quale dovrebbe far preoccupare non poco la politica.

L’inflazione erode i conti correnti

I risultati della ricerca presentata dai bancari non sembra lasciare eccessivi dubbi: dopo un quadriennio in cui erano costantemente aumentati, i conti correnti delle famiglie tricolori hanno dovuto lasciare ben 20 miliardi di euro all’incedere dell’inflazione. In particolare, nei mesi da agosto a novembre del 2022 si è registrata una flessione di 18 miliardi, da 1.177 miliardi a 1.159 miliardi, pari quindi all’1,5%. Mentre già a giugno, rispetto al mese precedente, si era registrata una prima diminuzione di 10 miliardi.
Un risultato che è naturalmente da addebitarsi alla fiammata dei prezzi che ha caratterizzato la seconda parte dell’anno appena concluso. Naturalmente, il carovita che ne è conseguito è andato a riflettersi sui bilanci familiari, con un notevole aumento dei debiti, tale da costringere molti nuclei a ricorrere a finanziamenti. Lo dimostra la crescita dei prestiti per il consumo e personali, il cui totale si è attestato alla fine del 2022 a quota 256 miliardi di euro, con una crescita dell’1,5% rispetto al dato di gennaio dello scorso anno.

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Credits: Josbert Lonnee

È la stessa FABI a segnalare come questo trend sia favorito non dalle favorevoli condizioni del mercato, bensì da una crescente propensione a saldare gli acquisti a rate. Anche questo segno evidente di una crescente difficoltà a tenere dietro alle dinamiche dei prezzi per effetto di salari e pensioni troppo bassi, nella stragrande maggioranza dei casi.

Italia maglia nera del G20 per il valore dei salari reali

L’inflazione sta rapidamente corrodendo gli stipendi degli italiani tagliandone in maniera drastica il potere d’acquisto e accelerando in tal modo un processo di impoverimento delle famiglie il quale era del resto già in atto da tempo.
Ad attestare il processo in corso è stato il Global Wage Report 2022-23 presentato all’inizio di dicembre dall’Ilo, Organizzazione internazionale del Lavoro, in cui il nostro Paese ottiene un record non precisamente lusinghiero, ritrovandosi maglia nera tra i 20 che compongono l’OCSE

A rendere possibile ciò è stato il calo nell’ordine del 12% degli stipendi italiani dal 2008 ad oggi, in termini reali. Limitando l’analisi al solo 2022 l’inflazione si è portata via un 6%, doppiando la media registrata negli altri Paesi che compongono l’Unione Europea.
Come al solito, ad essere maggiormente penalizzate sono state le famiglie a basso reddito, le quali sono solite riservare la parte più alta della propria spesa per i beni e i servizi essenziali, proprio quelli i cui prezzi stanno aumentando con maggiore rapidità. A rendere ancora più grave l’impatto della fiammata dei prezzi è il fatto che la spirale inflazionistica è giunta nel nostro Paese dopo un periodo di stagnazione degli stipendi, i quali sono cresciuti appena dello 0,1% nel biennio 2020-21, contro un dato medio UE pari all’1,7%.

Tra le categorie in maggiore difficoltà ci sono soprattutto i percettori di bassi salari, i lavoratori dell’economia informale e le donne. In particolare, i lavoratori che percepiscono salari troppo bassi sono passati nel periodo preso in esame dal 9,6% al 10,5%, con dati ancora più elevati per le donne (11,8%) e residenti nella parte inferiore dello stivale (14%). Una situazione la quale rischia di aggravarsi ulteriormente in assenza di interventi governativi.

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